Gianni Brera

Gianni Brera, il giornalista libero

Il nome di Brera sarà sempre legato a l’eterna domanda: Lo scrittore che faceva il giornalista sportivo o piuttosto il giornalista sportivo con smanie letterarie?

E chi se ne frega? Quello importante è il fatto che Brera con i suoi testi ha cambiato per sempre la forma di fare giornalismo sportivo.

Per una questione di età sono arrivato tarde al mondo di Brera. O forse no. Perché a Brera sono arrivato indirettamente tramite Gianni Mura, il suo più notevole alunno.

Ricordo ancora qualche anni fa un giorno delle vacanze di Natale in Italia in cui sono entrato in un bar, ho chiesto un caffè et poi ho recuperato una copia di Repubblica abbandonata nel tavolo accanto. Così, come per fare passare il tempo, ritrovo un articolo di Mura che parla dei protagonisti dello sport di quel anno che stava per finire.

Semplice: ordine alfabetico, uno sportivo per ogni lettera ed un piccolo commento per ogni protagonista. C’era però qualcosa di brillante. C’era della intelligenza provocante, lucida. C’era da una parte la creatività propria dell’autore ma anche da l’altra parte la capacità per illustrare del giornalista. Tutto quello senza mai dimenticare un pizzico di provocazione furba. In quella piccola dose, c’era l’impronta del migliore Gianni Mura.

Ma in quel primo articolo rivelatore di Mura, c’era tanto dello stile dal maestro Brera, da quella miscela tra creatività, rigore, erudizione e irriverenza.

Tra tante altre cose, Gianni Brera ha inventato (o al meno ha aiutato a rendere nota) una parola italiana che col tempo è diventata un vocabolo usato nel calcio a livello internazionale: LIBERO.

Ci sono tante altre espressioni create da Brera (contropiede, centrocampista, goleador…), ma libero serve per definire non soltanto a quel calciatore che gioca dietro la linea dei difensori (senza marcatura concreta ma con grande peso tattico), ma come per caso serve anche per qualificare il proprio stile di Brera.

Le cronache ciclistiche di Carlos Arribas, gli articoli de Santiago Segurola, le cronache taurine di Joaquín Vidal e naturalmente i testi di Gianni Mura, respirano Brera.

In certo modo, quelli sono i suoi allievi. Forse non sempre in modo volontario: la linea diretta tra Arribas e Mura è ovvia, ma meno quella con Vidal.

Però in ogni caso tutti loro recuperano quella tradizione della stampa sportiva sistemata a metà strada tra il giornalismo e la letteratura. Tradizione in cui Brera è stato un precursore, segnando il camino, tirando le parole, inventando nove regole, creando un nuovo stile in somma.

A colpi di macchina da scrivere Brera non soltanto a creato un nuovo linguaggio sportivo, ma ha fatto anche qualcosa di più importante: ha modellato il racconto, ha definito la dimensione dell’epica.

Perché il valore dei grandi nomi dello sport arriva fino a dove finiscono le sue gesta. Ma il suo peso nella storia e figlio del racconto.

Il posto che occupano Gigi Riva, Merckx, Coppi o Meroni nell’immaginario popolare dipende direttamente dalla forma in cui le sue azioni sono state raccontate nelle pagine di Repubblica o Gazzetta dello Sport per Brera. Dal modo in cui le sue imprese sono diventate eroiche man mano che i suoi miti erano scolpiti per Brera, il giornalista libero.

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